A proposito di scuola, non tutti sanno che anche io alcuni anni fa ho insegnato in un liceo. Era la prima volta per me e decisi di ispirarmi al prof. Keating de “L’attimo fuggente”. Vorrei raccontare la mia esperienza perché potrebbe essere utile anche ad altri professori.
Una delle prime lezioni portai i ragazzi nell’atrio della scuola, dove c’era una vecchia foto in bianco e nero di ex alunni, e dissi loro: “Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato. Li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero?” Ma purtroppo nessuno si voleva avvicinare, tutti dicevano di avere paura. Allora cercai di convincerli : “Carpe diem! Cogliete l’attimo ragazzi… Rendete straordinaria la vostra vita!” Ma niente da fare: se ne stavano tutti in disparte.
Un’altra volta in classe iniziai la lezione citando Walt Whitman: “O me, o vita. Infiniti cortei di infedeli. Città gremite di stolti. Che v’è di nuovo in tutto questo, o me, o vita. Risposta: Che tu sei qui, che la vita esiste, e l’identità, che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso. Quale sarà il tuo verso?” A quella domanda nessuno mi voleva rispondere, erano tutti intimiditi. Allora io: “Due strade trovai nel bosco ed io scelsi quella meno battuta“. Ma non capivano, iniziarono a chiedermi: “Quale bosco, professore?
Ci fu poi quella lezione in cui leggemmo in classe il saggio introduttivo “Comprendere la Poesia” di Jonathan Evans Prichard, professore emerito. Alla fine della lettura, sdegnato, esortai i ragazzi a strappare quelle pagine: “Escrementi! Ecco cosa penso delle teorie di J. Evans Prichard! Non stiamo parlando di tubi, stiamo parlando di poesia! Ma si può giudicare la poesia facendo la hit parade? Gagliardo Byron, è solo al quinto posto, ma è poco ballabile!”. Nessuno però sembrava seguire il mio ragionamento: tutti dicevano che il libro si sarebbe rovinato e che se strappavano le pagine dell’introduzione poi rischiavano di staccarsi anche le altre. Fu tutto inutile: nessuno strappò nulla.
Finché un bel giorno ho detto loro: “In questa classe potete chiamarmi professor Mainato o, se siete un po’ più audaci, Capitano, mio capitano!”. E per rafforzare il concetto con un balzo sono salito sulla cattedra: “Ho fatto questo per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse e il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinto? Venite a vedere voi stessi”. Ma quelli non si muovevano: uno diceva che non voleva salire perché soffriva di vertigini, uno perché aveva le scarpe sporche, uno aveva paura che la cattedra non reggesse il peso… A quel punto non ci ho visto più: ho iniziato a gridare che se non salivano immediatamente per casa avrebbero dovuto fare tre versioni di latino, cinque riassunti e venticinque frasi di grammatica sull’apposizione. E finalmente in quel modo sono riuscito a ottenere un risultato: sono saliti tutti.